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Quando il lavoro è un lusso

Partire dalle origini è d’obbligo.

 

“L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (articolo 1 della Costituzione Italiana).

“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore” (articolo 37 della Costituzione Italiana).


Questi sono principi e diritti che non dovrebbero essere mai messi in discussione, i fatti però dimostrano il contrario.

 

Per le donne italiane l’accesso al lavoro oggi non ha ancora raggiunto il livello di tutela richiesto dagli organi nazionali e internazionali. Siamo ancora distanti dal superamento del Gender Gap e le lavoratrici o aspiranti tali si trovano in situazioni molto spesso precarie e discriminanti. Domande illegali che in alcuni casi vengono ancora poste durante i colloqui di lavoro e prevaricazioni sono le ingiustizie più frequenti che le donne subiscono.


Cosa sono disposte a sopportare le donne pur di ottenere un impiego? Molto. Educazione, accondiscendenza e poca autostima giocano un ruolo decisivo durante la selezione. Rispondere con diplomazia ed eleganza non sempre premia, magari fa raggiungere lo scopo ma allo stesso tempo, in qualche modo, autorizza implicitamente l’altra parte ad arrogarsi il diritto di esercitare controllo e potere. La situazione deve cambiare.



 

L’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile al punto “Parità di genere” mira al raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze. Consapevoli del divario tra uomo e donna in molti stati vengono messi nero su bianco i traguardi da raggiungere entro il 2030. È una posizione politica e sociale importante: si prende atto di problemi che riguardano la donna e si procede verso un obiettivo comune.

L’Italia è ancora in una posizione non certo virtuosa come quella dell’Islanda, si trova infatti all’ultimo posto in Europa per tasso di occupazione femminile, i numeri parlano chiaro. È ancora lungo il percorso e la scadenza (2030) non è così lontana. 

 

Nonostante siano molti gli sforzi a livello nazionale ed europeo per contrastare il fenomeno della discriminazione di genere i risultati tardano ad arrivare.

Se per le donne è già difficile avere un lavoro appagante risulta ancor più complicato l’accesso al credito e l’ottenimento di finanziamenti per la propria impresa. Le banche tendenzialmente sono restie a concedere prestiti e altre forme di credito alle donne e ovviamente contribuire alla nascita e allo sviluppo di un’impresa femminile spesso fa nascere nei professionisti dubbi e preoccupazioni.



Se si superasse definitivamente in gender-gap uno degli effetti misurabili oggettivamente sarebbe l’aumento del PIL, risultato da tenere ben presente. Il lavoro alle donne, per le donne e delle donne non deve essere interpretato come antagonista al lavoro maschile. Le aziende dovrebbero valutare competenze, preparazione, aspirazioni, potenzialità del/la candidato/a e non focalizzarsi su questioni prettamente anatomiche.

 

Nascere donna può avere i suoi vantaggi ma sicuramente nel mondo del lavoro crea molte volte un ostacolo fatto di pregiudizi, luoghi comuni e mentalità distante dalla realtà.

Credo che valorizzare tutte le donne nelle proprie possibilità sia la base per ricostruire dalle fondamenta un mercato del lavoro equo e al passo con i tempi. Scegliere se lavorare o meno non dovrebbe seguire logiche antiquate bensì assecondare il vero desiderio di ogni singola donna.

 

Ricordiamoci che lavorare non è un privilegio o un lusso, è un diritto.  

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